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Verso la fine di questa Estate torrida passata a lamentarsi del caldo, ho raccolto anche alcune riflessioni di chi finalmente comincia a prendere coscienza che se non si agisce in qualche modo queste temperature costantemente sopra la media saranno la norma nei prossimi anni.
Se da un lato, mentre sei al mare in vacanza, tanto sole e caldo non ti dispiacciono certo, dall’altra le conseguenze a livello del pianeta sono state esposte e drammatizzate, nel senso proprio della parola, in un articolo del New York Magazine diffuso e tradotto in tutto il mondo.

Dando per scontato che una problematica del genere non può essere affrontata a livello individuale, ognuno nel suo piccolo oramai è tenuto a pensare a cosa può contribuire a contrastare questo fenomeno.

Mi sono quindi chiesta: c’è un cambiamento in atto, nel mondo del lavoro, che può essere incentivato e che abbia come effetto collaterale con un sicuro beneficio ambientale? Un cambiamento in cui magari l’IT può dare il suo sostanziale contributo?

La mia risposta è che per ridurre le emissioni provocate dalle attività di lavoro di tipo concettuale, quasi più che l’efficientamento degli uffici, potrebbe avere un effetto virtuoso l’introduzione su larga scala del lavoro flessibile e prevalentemente in remoto, lo smart working, ovvero il lavoro flessibile, in particolare per quanto riguarda i luoghi in cui viene erogato.

Smart working, infatti, tra le altre cose, significa meno spostamenti per recarsi in ufficio, o nel caso peggiore spostamenti in orari diversi da quelli di punta, che significa traffico più fluido e quindi meno emissioni dovute al cambiamento di andamento dell’auto. Può voler dire anche poter recarsi con comodo sul posto con mezzi pubblici con arrivo differito. Anche nel caso che poi, per necessità di servizi e di contatto umano, si lavori in un coworking, questi vengono sempre scelti in posizione raggiungibile, pena la perdita dei vantaggi della flessibilità.

Si fa presto a dire Smart Working.

Non starò a raccontare le problematiche relative al fatto di lavorare in remoto, da casa o dal luogo preferito, in termini di compattezza del team e di relazioni. Questa, e l’accesso alla conoscenza e alle competenze altrui, sono sicuramente due scogli da analizzare e superare.

In realtà, più volte, proponendo ad un’azienda che seguo di aggiungere flessibilità ai membri dell’R&D aziendale, mi sono trovata che la ragione maggiore di diffidenza si concretizza la perdita di controllo su dati e persone, che in realtà al giorno d’oggi è comunque molto difficile da raggiungere anche all’interno delle 4 mura di un ufficio, anche a causa della connettività costante e personale data dagli smartphone.

Invece spesso mi rendo conto che non vengono visti vantaggi per l’azienda, in termini di retention e employer branding, a cui aggiungo la componente green, ora sempre più sotto i riflettori.

Questo cambiamento verso un modo di lavorare più leggero, efficiente e rispettoso dell’ambiente deve venire dall’anima aziendale, e con le giuste motivazioni. Mi ha meravigliato parlare con un CEO di un’azienda di software conosciuta in tutto il mondo che, dopo il nostro incontro, mi ha detto che tornava a lavorare da casa.
Molto incuriosita gliene ho chiesto il perché e, in breve, mi ha risposto: “Primo perché ora ho un cane, e poi perché voglio dare il buon esempio lavorando io per primo in remoto quando posso”. Encomiabile.

Certo, bisogna attrezzarsi. Certo, bisogna tenere presente i contro e compensare. Usare e insegnare ad usare strumenti collaborativi e monitorare di continuo non tanto la produttività, che generalmente riceve parecchi benefici dallo smart working, quanto la compattezza del team con incontri periodici e iniziative ad hoc che ricreino una “macchinetta del caffé” temporanea o virtuale. Parliamo del cosiddetto “water cooler effect” cioé l’incremento di creatività e di coesione aziendale che si verifica nel condividere spazi comuni di relax in cui è incentivato il contatto umano.

E noi che facciamo in proposito?

In Nemoris lasciamo la possibilità di lavorare da casa senza limitazioni, anche se vediamo che il team di sviluppo tende comunque a gravitare attorno all’ufficio: l’ambiente aiuta la concentrazione e gli scambi, e quindi si preferisce vedersi in faccia e lavorare fianco a fianco.

Però ritengo che la possibilità di lavorare in remoto, che magari si concretizza in circa un 20% in meno di spostamenti nel mio caso, sia un piccolo contributo della nostra azienda a svuotare le strade e ridurre le emissioni.

Queste percentuali nella nostra realtà si alzano nei mesi estivi, quando l’ufficio tende a svuotarsi e tutti tendono a recarsi a lavorare in luoghi più “vacanzieri” e vicini alla natura, anche a prescindere dal periodo di ferie vero e proprio. Bastano una connessione internet e un computer, e vedo che il cambio di paesaggio e clima è sempre benefico per la produttività e il benessere personale, quindi indirettamente un vantaggio per l’azienda.

Se tutti facessimo anche piccoli passi in questo senso come effetto collaterale, su larga scala, ci sarebbero meno auto in circolazione e un piccolo contributo a fermare e invertire questa corsa verso l’aumento della temperatura che comincia a preoccupare anche quelli che fino a poco fa sembravano scettici.